In viaggio con il Falcone, di Augusto Petrini

Che senso ha viaggiare da Varese a Roma con un Falcone del 1960, se in garage hai anche una V11 Le Mans nuova?
La risposta la darò utilizzando un detto in uso tra i bikers americani, aficionados delle Harley Davidson: "se te lo devo spiegare tu non puoi capire".
Così un pomeriggio di agosto sono partito dal paesino di Carnago, in provincia di Varese, direzione sud.
Prima di raccontare del viaggio, però, voglio spendere qualche parola di elogio per il Falcone.
Il mio è un turismo ex Polizia, costruito nel 1960, di quelli con i supporti del faro invertiti per far posto alla sirena. Io l'ho restaurato riportandolo alle condizioni della corrispondente versione civile, quindi rosso Guzzi con guance del serbatoio nere e filetti oro e neri.
Unica variazione estetica, dovuta alla mia statura, è lo spostamento del manubrio dalla posizione bassa e arretrata, dietro il pomello del frenasterzo, a quella più alta ed avanzata, davanti allo stesso pomello. Questo, se da un lato ha un poco rovinato la linea bassa e slanciata della moto, dall'altro ha reso la posizione di guida più confortevole, con il busto un poco inclinato verso l'avanti ed eliminato le interferenze del manubrio con le ginocchia nelle manovre a bassa velocità.
Nell'utilizzo pratico della moto sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla genialità dei suoi concetti costruttivi.
Il motore ruota all'indietro, rispetto il senso di marcia, così il moto della testa di biella spruzza olio nel cilindro dietro il pistone, aumentando la già abbondante lubrificazione e contribuendo al suo raffreddamento. Questo concetto è stato ripreso nei motori più moderni con degli appositi ugelli che inviano getti d'olio in pressione alla base dei pistoni.
La rotazione contraria, inoltre, consente di far girare la frizione in avanti senza un altro ingranaggio intermedio o la necessità di una catena di trasmissione primaria, fonte di eterne tribolazioni per le moto contemporanee che la utilizzavano.

Infine "l'affetta prosciutti", il grosso volano esterno che è la vera anima del Falcone: l'inimitabile minimo, l'elasticità di marcia ed il tiro del motore sono i suoi effetti più noti. Ma quello che, per me, è stupefacente è l'effetto sulle vibrazioni. Il Falcone non vibra, si viaggia sul filo dei 100 all'ora, senza sforzo, lisci come con una 4 cilindri, con appena un fremito sul manubrio e gli specchietti retrovisori fermi e nitidi.
Provate invece a guidare le altre moto monocilindriche dell'epoca e anche più recenti, come le Ducati Scrambler o le Aermacchi 250-350.
Il volano condiziona anche il funzionamento del cambio, se s'imparano e si rispettano i suoi tempi nel salire e nello scendere dei giri, il cambio è preciso e silenzioso, altrimenti si viene ripagati da sonore grattate.

Per terminare questa elegìa del Falcone, come non menzionare la sua razionalità costruttiva che consentiva anche riparazioni sul ciglio della strada, peraltro quasi mai necessarie. Ad esempio, il grosso bullone che blocca il volano è a sua volta assicurato, contro un accidentale e catastrofico allentamento, da un ghiera avvitata sul volano con filettatura contraria. Allentando questa ghiera senza toglierla del tutto e poi svitando il bullone, questo poggiando sulla ghiera spinge fuori il volano senza fatica e senza la necessità di un apposito estrattore. Geniale.
Insomma per me il Falcone è stato una scoperta ed un innamoramento a prima vista. Ma veniamo al viaggio, la prima tappa è stata Firenze ed ho dovuto fare tutta autostrada perché ero atteso per cena dal mio amico, il mitico (per gli amanti di moto inglesi) Gino Sassaroli, notissimo esperto di Norton e gran maestro di tornio.
In autostrada è stata una sofferenza. Il caldo era bestiale, una delle giornate più calde dell'estate. Viaggiavo alla velocità di crociera di 100 km/h effettivi, misurati con il cronometro con il contachilometri a 110, a questa velocità, più che sufficiente sulle strade statali, in autostrada i chilometri non passavano mai. Comunque anche a quell'andatura ho sorpassato delle moto, erano due sidecars Ural, che ho superato tra grandi saluti e colpi di clackson.
Anche il confort della moto, in autostrada, non è il massimo, la posizione di guida molto eretta, pur se un poco migliorata dallo spostamento del manubrio, anche a soli 100 orari, a lungo andare diventa stancante per la pressione dell'aria che costringe a restare appesi al manubrio. Ci vorrebbe il grande parabrezza originale, ma non ce l'ho e forse anche avendolo non lo avrei montato, perché il Falcone mi piace così com'è, nudo.
La classica sella monoposto molleggiata, è comoda sulle strade statali quando si frena, si cambia, ci si ferma e si riparte in continuazione, insomma ci si muove sempre. In autostrada invece non permette di spostarsi, come un sellone lungo e dopo un paio d'ore di viaggio il fondoschiena ne soffre.

Nonostante tutto, anche in questo terreno poco favorevole, il Falcone ripaga abbondantemente il viaggiatore per il gusto e l'orgoglio di viaggiare con un mezzo al di fuori ed al disopra del tempo e delle mode.
Entrare in autogrill e parcheggiare tra decine di moto moderne dall'aspetto alieno ed iper-tecnologico così come gli abbigliamenti dei loro proprietari. Ma come facevano, con quel caldo infernale, a sopportare quelle tute di pelle piene di rinforzi e di protezioni dappertutto? Parcheggiare tra di loro dicevo, e sentirsi di un'altra dimensione, fuori dal gregge e soprattutto, non desiderare, nemmeno per un momento, di guidarne una invece del Falcone.
La mattina dopo, intorno alle 8, è iniziato il vero viaggio, infatti la prima tratta è stata più che altro un trasferimento.
Prima sosta un agriturismo vicino ad Assisi, dove ero atteso per il pranzo. Imboccata la strada statale n°69 in direzione di Arezzo, come il "brutto anatroccolo" della fiaba di Andersen, il Falcone ha trovato la sua vera dimensione. La strada seguiva più o meno il tracciato dell'A1 intersecandola ed allontanandosene in un susseguirsi di curve tra colline coperte di ulivi. Messa la quarta, l'elasticità ed il tiro del motore, consentivano di pennellare le curve dimenticandosi del cambio e ammirando i paesaggi che si scoprivano quasi dietro ad ogni curva.
Non voglio certo spacciare il Falcone come moto da misto stretto, anzi il telaio imbullonato tutt'altro che rigido, il passo lungo ed i vecchi freni a tamburo non invitano ad una guida sportiva, tirando le staccate e consumando le pedane nelle pieghe.
Ma non è così che ci si gode il Falcone.
Il Falcone va guidato invece rispettandone la natura, in pieno relax, godendo dei paesaggi che si attraversano. Paesaggi che la guida imposta da un mezzo più moderno non consente di ammirare, concentrati come si è nello schizzare da una curva e l'altra nel più breve tempo possibile. Paesaggi dell'Appennino umbro-toscano, che non sono certo io a scoprire, nei quali il Falcone non è un elemento estraneo, ma s'inserisce in modo naturale, entrando a farne parte come il famoso pino nelle cartoline del golfo di Napoli. Inoltre, viaggiando in questo modo, non è che si vada poi così piano. Se è vero che quando esci dalle curve puoi contare i "tump tump" del motore che riprende con calma, è anche vero che con i rapporti lunghi che spinge, con ogni "tump" il Falcone fa molta strada ed alla fine arrivi a destinazione più in fretta di quanto pensavi. E comunque con molti moscerini sui denti.
Dopo Arezzo la statale n°71 porta al lago Trasimeno dopo aver attraversato Cortona, quindi la 75bis, costeggiando la sponda nord del lago, porta a Perugia. Da qui in poco tempo con la statale n° 147 siamo ad Assisi, la grande Basilica bianca in cima alla collina è una visione indimenticabile, ma la mia meta era meno spirituale.
L'agriturismo dove ero atteso era alla fine di una stradina che s'inerpicava sempre più stretta e sempre più ripida su una collina coperta di ulivi. Anche qui il Falcone mi ha regalato sensazioni antiche salendo con il ritmo scandito del suo motore, insensibile alla pendenza della strada, quasi come agganciata alla cremagliera di una funicolare.
Dopo il pranzo, l'ultima parte del viaggio verso Roma, lungo la via Flaminia, è meno emozionante perché la strada è larga e scorrevole e pur offrendo anch'essa scenari pregevoli, è molto simile ad una autostrada. Solo girando attorno al monte Soratte si incontrano gli ultimi chilometri di quelle curve che piacciono al Falcone.
Poi eccomi nel traffico, per fortuna ancora scarso, della capitale. Anche questo non è uno dei punti forti del Falcone, la partenza da fermo non proprio bruciante fa si che ai semafori anche i cinquantini, almeno quelli più moderni, schizzino via come sparati da una fionda.
Tuttavia molto spesso accade che i motociclisti, fermi al semaforo accanto a me, restino ad ammirare la moto, forse ipnotizzati dal lento girare del volano, così allo scattare del verde sono io a partire per primo. Anche questa è una magìa del Falcone.

Augusto Petrini